Città e cultura cosi cambia l'Europa

02 Agosto 2016 Scritto da 

Le città possono essere un luogo di sperimentazione di nuovi modelli di cittadinanza attiva e partecipata? E quale ruolo gioca la cultura nel processo di integrazione democratica? Lunatico festival ha provato a mettere a confronto esperienze in atto a livello regionale ed europeo, con il contributo di Celia Mayer, assessore alla cultura del comune di Madrid, Gianni Torrenti, assessore alla cultura e immigrazione della Regione Friuli Venezia Giulia e Giuseppe Caccia dell’ Associazione European Alternative. “Noi che operiamo all'interno di cooperative sociali nate dall'esperienza basagliana, che ha portato alla chiusura delle istituzioni manicomiali e alla nascita della cooperazione sociale – ha detto Alessandro Metz, delle cooperative sociali La Collina e Reset che organizzano Lunatico festival – fondiamo il nostro operare quotidiano sulla cultura del prendersi cura. Lavoriamo per l’inclusione, all’insegna della solidarietà e del legame sociale, poiché riteniamo siano gli elementi  fondanti di una comunità”. Celia Mayer proviene da un ambito professionale legato alla ricerca sociale. E’ un’esperta di politiche comparate sulle misure di inclusione e di genere europee ed  esponente di Ahora Madrid ,  movimento che sta provando a riportare la partecipazione dei cittadini al centro delle politiche decisionali. Un processo possibile attraverso l’avvio di politiche culturali? “La cultura ha un potere di trasformazione enorme -  afferma - è un diritto di tutti  e soprattutto un rapporto di scambio di idee e  di esperienze. Sono convinta che la sperimentazione culturale non nasca dalle istituzioni, ma dalla società civile. Le politiche pubbliche hanno il compito di avviare un processo di democratizzazione delle cultura, renderla bene comune, aprire nuovi spazi di ragionamento”.  Gianni Torrenti, assessore regionale alla cultura e all’immigrazione ha tracciato il quadro della situazione locale, ricordando come in Friuli Venezia Giulia, sin dagli anni ottanta, siano stati fatti  grandi sforzi per promuovere una diffusione capillare delle attività culturali. Sono state aperte biblioteche, nuovi teatri e incentivata la produzione di eventi non più e non solo nelle città capoluogo, ma nell’intero territorio “grazie a una politica – ha osservato  - che ha seguito la voglia e il desiderio di partecipazione culturale”. Negli ultimi due anni alla luce degli accadimenti che stanno trasformando la società, complice anche la  crisi mediorientale ha messo in crisi l’Europa,  sta cambiando  il ruolo e la responsabilità delle istituzioni:  “oggi pensiamo di dover accompagnare, pur senza dirigere,  lo sviluppo culturale dei cittadini – ha detto -  favorendo dinamiche di accettazione di culture diverse e affrontando il disagio sociale reale che attraversa la nostra comunità”. E in Europa? “La storia dell’integrazione europea prima della crisi economia globale del 2007 – ha aggiunto Beppe Caccia - sembrava essere un processo automatico che, una volta innescato, si sarebbe concluso portando alla costituzione della demos europea  , seppure con i suoi limiti in termini di partecipazione dei cittadini, poiché si trattava di un processo guidato essenzialmente da una cabina di regia intergovernativa guidata  dagli esecutivi dei singoli stati”. Oggi le cose sono cambiate: dobbiamo confrontarci con un contesto globale che arriva sin dentro le nostre case con una dimensione di crisi e di guerra che morde i nostri confini”. Il risultato si è tradotto in una vera e propria crisi costituzionale del processo di integrazione, con la definizione di un campo politico più o meno equamente diviso tra un “grande centro” che è di fatto la coalizione politica che sostiene ancora oggi le politiche di austerità e una nuova e solo apparentemente irrefrenabile avanzata di populismi di destra di vario colore. La soluzione? “Forse dovremmo iniziare a mettere in discussione e analizzare i limiti delle politiche di austerità che hanno prodotto ineguaglianze e sono state il terreno di crescita degli integralismi di casa nostra, quelli che forniscono la manovalanza al terrore. Sono state queste  politiche a  nutrire i nazionalismi e i populismi. Fare cultura significa anche provare a aggredire questa rappresentazione dello spazio politico europeo, provare a inventare una strada altra e diversa, capace di sfidare i problemi drammatici e le contraddizioni spesso tragiche della nostra contemporaneità”. L’Europa ha dunque fallito? “Il processo di costruzione di uno spazio politico europeo vive la sua più profonda crisi di legittimazione e di consenso sociale – ha detto Caccia - ma proprio quelle migliaia di donne, uomini e bambini arrivati dalla Siria, dall’ Afghanistan, dal  Pakistan, che in quello straordinario settembre-ottobre dell’anno scorso  hanno trovato la loro  strada, aprendo il varco della rotta balcanica, ci stanno dicendo che serve più Europa. Sono loro, più che  una società europea invecchiata e disillusa, terreno di facile presa di populismi razzisti e di chiusure nazionaliste, di ritorno dei fantasmi peggiori della storia europea , che ci chiedono una terra ospitale, cosmopolita, capace di apertura e riconoscimento di diritti vecchi e nuovi, universale per tutte e tutti.  E’  da questa forte spinta soggettiva che per alcuni mesi ha rotto confini, barriere e sbarramenti che arriva  un messaggio di speranza materialmente fondata”.  Secondo Celia Mayer la nuova egemonia della cultura razzista e conservatrice rivela come quella politica includente e democratica rappresentata dalla sinistra sia veramente  in crisi . “La cultura come strumento e leva di integrazione sociale ha fallito – ha spiegato-  perché è stata lasciata sola ad accompagnare questo processo. La sinistra ha basato i suoi principi sulla multiculturalità, sugli scambi di pratiche e idee, dimenticando i problemi reali di politica sociale”. Ahora Madrid  sta tentando di cambiare linguaggio politico  e forme di organizzazione. “Ha vinto in parte- ha aggiunto -  ma è un processo ancora molto lungo che chiude un’epoca iniziata nel 78 con la transizione spagnola. “L’Europa nasceva con un progetto ben definito – ha osservato Torrenti –  poi però, nel tempo è stata chiamata a fornire soluzioni di problemi diversi. Che l’Europa, ad esempio, fosse chiamata a  diventare lo  strumento di stabilità dei Balcani non era una condizione prevista . Era nata per altro. Inserire nel contesto europeo sette-otto paesi balcanici, per dare loro la stabilità che gli mancava, ha di fatto indebolito l’Europa stessa. I nuovi stati sono entrati all’interno del contesto europeo con gli stessi diritti di quelli che stavano faticosamente elaborando il progetto europeo. Una situazione a cui si è aggiunta la coincidenza di una crisi economica che si è protratta nel tempo e alla quale non abbiamo saputo dare risposte. O meglio abbiamo fornito risposte che però non hanno dato gli esisti sperati. La strada dell’austerità non è riuscita a dare una risposta adeguata. I debiti dei paesi sono aumentati comunque,  lo sviluppo non c’è stato. Oggi dobbiamo cambiare strada”. Quale strada è realmente percorribile? “La storia spagnola degli ultimi cinque anni ci racconta qualcosa di interessante – dice Caccia - ci racconta di una possibilità”. Dal 2011 ad oggi abbiamo assistito a forme di autorganizzazione sociale e ripresa dello spazio pubblico con l’emersione di diversi fenomeni politici innovativi, da Podemos alla vicenda straordinaria delle piattaforme civiche che hanno conquistato Madrid, Barcellona Saragoza, La Coruña. La cosa che credo vada colta della vicenda spagnola è che tanta gente ha cominciato a credere e verificato nella realtà che “si, se puede”. La grande lezione a sta proprio qui: le persone organizzandosi hanno sfidato un bipartitismo che sembrava immutabile,  hanno affrontato e frenato il capitalismo finanziario, fronteggiato le banche che  venivano a prendersi le case, vincendo sfratti e pignoramenti. Podemos prima e le piattaforma cittadine poi, hanno ribaltato un assetto apparente immutabile di potere, dimostrando che poteva essere sfidato, che si poteva costruire qualcosa  di nuovo che tornasse a impattare sulle nostre vite”. Non è la stessa cosa se una grande città europea è governata da forze che privatizzano i servizi pubblici essenziali o da forze che valorizzano i beni comuni. Non è la stessa cosa se una città è governata da chi organizza insieme le iniziative cittadine, le politiche di accoglienza per profughi , rifugiati e migranti o da chi fa ordinanze per cacciarli. “In Spagna si sta cercando di ricostruire una capacità di presa sulla realtà come è stata  quella del grande disegno socialdemocratico dei trent’anni gloriosi dopo la seconda guerra mondiale, nel quale  l’idea che di fondo era di provare a riequilibrare i poteri e la distribuzione della ricchezza”. E’ dunque possibile oggi pensare a una nuova politica capace di provare a mettere le briglie del capitalismo finanziario su scala globale e ai disastri che ha compiuto nella sua astrattezza? “Donne e uomini di buona volontà dovrebbero mettersi a ricercare assieme risposte che nascono dal basso, dalla capacità di auto-organizzarsi, di cooperare e riscoprire i valori di emancipazione e solidarietà, di mutualismo e aiuto reciproco. C’è bisogno di  rispondere ai problemi drammatici che abbiamo di fronte. E le città e i territori possono avere un ruolo centrale nella costruzione di prospettiva di cambiamento.  E’ un’istanza che in questi ultimi anni attraversa la Francia, la Spagna la Grecia e anche Italia. C’è questa domanda di tornare a una dimensione originaria di prossimità, di fare rete e costruire un potere e una forza capaci di mettere in discussione lo status quo e alcuni rischi catastrofici che la difesa di quello stesso status quo ci sta portando.