Lascio che le cose, mi portino altrove, non importa dove

28 Novembre 2017 Scritto da 

Prendete una classe di studenti delle superiori, raccontatele il carcere. Pian piano i cellulari vengono messi via, il vocio davanti a voi diventa silenzio. Non timore ma curiosità. Plutarco lo diceva: la mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere. Le parole si fanno strada, non si sente più solo la mia voce. Il senso unico non esiste, salire in cattedra non è mai stata una mia prerogativa. Il dialogo entra rumoroso in classe. Opinioni, storie, agitazioni, suggestioni. “Ma tu lo hai visto Il Miglio verde? Ma sai la storia di Felicetto Maniero? Io sono stato in un carcere minorile per tre anni, ma guardami ora sono a scuola!” .
Libertà personale, comportamenti a rischio, diritto agli affetti, giustizia e pena. Non ci si ferma qui.
Ogni tanto irrompono delle domande che nella loro apparente banalità ci riportano hic et nunc nella nostra dimensione, quella del fuori. “Possono fumare? Possono giocare a carte? Ma la pizza la mangiano?”
Le pagine de L’Aquilone sono sfogliate sempre più avidamente. Il tempo a disposizione sembra poco. “Prof, davvero devi andare?”.
Dentro e fuori. Chi è dentro non è poi così diverso da chi è fuori. E questa è la più grande consapevolezza che ognuno si riporta a casa dalla classe.

Lucia
Operatore didattico La Collina