BULLOVER: contrastare dinamiche di bullismo attraverso il progetto

13 Luglio 2015 Scritto da 

“Se mi guardi ancora una volta ti tiro un calcio”.
“Se non mi dai immediatamente la tua merenda ti faccio un occhio nero, testa di cazzo”.
“Se non mi lasci il posto ti prendo per i capelli”.
“Se non la smetti di parlare con il mio ragazzo giuro che non uscirai di casa per tutta l’estate”.
“Se…”
Chi di voi, almeno una volta nella vita, non ha sentito, vissuto, subito direttamente o indirettamente circostanze simili a quelle che ci sono state raccontate dai protagonisti del progetto Bullover, gli studenti del primo e secondo anno degli Istituti Comprensivi “G. Randagio”, “E. Giagich”, I.S.I.S. “S. Pertini” e I.S.I.S. “M. Buonarroti” di Monfalcone?
Credo nessuno.
Chi di voi, nella quotidianità, non si è trovato in difficoltà sul cosa fare, sul come porsi, sul cosa dire per aiutare qualcuno, indifferente se amico, figlio, compagno o conoscente che, utilizzando le modalità più diverse e disparate, abbia deciso di condividere situazioni di disagio dovute a pratiche prepotenti?
Credo in molti.
“Bullover - scalda le mani, (ri)attacca il cervello, sputa parole. Per qualcosa di utile” ha voluto cercare risposte piuttosto che aumentare dubbi o perplessità. Ha voluto rendere i beneficiari del percorso i veri protagonisti dell’iniziativa fin dalle sue prime battute. Ha voluto dotare gli studenti di strumenti pratici e concreti, tanto analitici quanto progettuali, per contrastare in maniera propositiva, divertente e creativa, dinamiche negative che possono svilupparsi sia all’interno dei contesti scolastici che in ambiti urbani, evidenziando come iniziative di sensibilizzazione al tema possano, sfruttando la grammatica del gioco, dell’interazione e del divertimento, essere positivamente devastanti.

Così, non abbiamo erogato un semplice servizio. Non abbiamo sviluppato un freddo percorso formativo costellato da power point, lezioni frontali, somministrazione di questionari e proiezione di lucidi o filmati. Non abbiamo detto cos’è il bullismo, come lo si contrasta, come lo si evita. Non abbiamo consegnato verità, ceduto a suggerimenti, bisbigliato consigli come se fossimo i fratelli più grandi. Non abbiamo imposto l’utilizzo di un linguaggio comunicativo piuttosto che un altro, non ci siamo arrogati la presunzione di sapere come intrattenere per 6 ore consecutive un gruppo di ragazzi under 16, prelevati dal normale svolgimento dell’orario scolastico e lanciati all’interno di un format che per loro poteva solo significare “pacchia totale, posso spegnere il cervello o attaccarmi al cellulare”.
Abbiamo ribaltato il processo. Abbiamo messo in discussione un metodo. Ci siamo messi in gioco in prima persona. Siamo entrati in classe con le “mani in alto” e ci siamo seduti dalla parte dei ragazzi. Abbiamo tolto cattedre, planisferi e tabelle di chimica. Abbiamo spento proiettori, cellulari e computer e ci siamo guardati negli occhi. In certi casi abbiamo lasciato aperte le porte dell’aula mentre in altri le abbiamo chiuse a doppia mandata. Abbiamo parlato con loro. Di tutto e di niente. All’inizio del più e meno. Poi delle loro vite, delle loro cose quotidiane. Abbiamo condiviso ragionamenti, speranze e situazioni in cui si sono trovati. Abbiamo commentato cose che hanno visto, sentito o sentito dire. Abbiamo compreso che il bullismo non è solo fisico o psicologico. Non si verifica solo “online” ed “offline”. Se ne frega dell’età di chi lo pratica e di chi lo subisce. Se ne sbatte se qualcuno potrebbe vederlo, filmarlo, raccontarlo a qualcun altro o condividerlo sui social.
IMG 2111Poi abbiamo chiesto loro di decidere.
Si, abbiamo lasciato il timone completamente nelle loro mani.
Così hanno potuto scegliere quale tra gli strumenti a disposizione trovavano più “figo” per attivare un percorso di sensibilizzazione al tema del bullismo. Quale, tra la progettazione di un intervento di guerrilla marketing, l’ideazione e la registrazione di uno spot radiofonico o la scrittura e la ripresa di un short-video, potesse essere il linguaggio più efficace per contrastare, con muso duro ed il sorriso sulle labbra, i bulli del proprio “quartierino”.
Così li abbiamo messi nella condizione di sbagliare per le successive ore di puro learning by doing.
Due micro-film della durata di meno di 300 secondi ciascuno, sei audio stories e quindici progetti di guerrilla marketing sono il risultato di quattro ore di lavoro di gruppo, dove il singolare ed il plurale si fondono rimanendo visibili.
Materiali utili alle amministrazioni ed ai genitori. Interessanti sotto il punto di vista sociologico, politico e didattico-formativo perché ci raccontano di una generazione che non ci sta, che sotto sotto non ammette, che in fondo in fondo pensa e, se messa nelle condizioni di agire, agisce attraverso l’elaborazione di progettualità.
Dalla distribuzione di “merende lassative” per rispondere a chi ci ruba il panino della ricreazione alla costruzione di un gioco da tavola che mischia regole del “non t’arrabbiare” a domande in stile “pegno o verità”; dall’elencazione di cosa sia “Trooooooooooppo” e di cosa non lo sia, all’utilizzo del dialetto napoletano per dare ritmo e personalità alla narrazione; dal “batter le mani“ per non sentirsi soli allo scegliere di dipingersi tutti insieme un occhio nero in segno di solidarietà con le vittime di bullismo.
Tutti i progetti realizzati dai ragazzi sono risposte.
Sono chiare prese di posizione.
Sono consapevolezza e riflessione critica.
Sono come urla e schiaffi, calci e pugni, sputi ed insulti.
Sono azioni che rispondono con la forza delle idee alle bassezze dei prepotenti.
Sono decisamente “wow”, e ci piacerebbe che anche voi le prendeste in considerazione perché potrebbero tornarvi utili, in quanto a modalità di approccio al tema, per rispondere alle richieste di aiuto di un vostro amico, figlio, compagno o conoscente.